Con sentenza n. 11957/20 del 3.03.2020 depositata il 10.04.2020 la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che se i disturbi della personalità da cui è affetto il soggetto siano tali da far ragionevolmente ritenere che sarà assolto per vizio totale di mente all’esito del procedimento penale a suo carico, la misura cautelare della custodia in carcere NON può essere applicata.

Il caso ha riguardato un cliente del nostro Studio Legale con numerosi precedenti penali per reati contro il patrimonio, il quale, negli ultimi anni, era stato più volte assolto per irreversibile incapacità di intendere e di volere nonché di partecipare coscientemente ai processi a suo carico. Il severo deficit intellettivo e i disturbi della personalità da cui era affetto erano stati certificati nel 2018 da periti psichiatri del Tribunale che avevano affermato che il soggetto agisse perché incapace di controllare i propri impulsi. Tale dato, secondo l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione, era senz’altro in grado di determinare una considerevole diminuzione della capacità di intendere e di volere del soggetto e, quindi, l’assenza, da parte sua, di una effettiva e ragionata volontà di delinquere, che lo rendeva, di fatto, non imputabile.

Malgrado tutto, nel dicembre 2019, nell’ambito di un procedimento penale per furto aggravato, l’indagato era stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere. Il nostro Studio ha quindi presentato istanza di revoca della misura affermando che il soggetto, essendo non imputabile perché affetto da gravi disturbi della personalità, non poteva essere trattenuto in custodia poiché mancavano i gravi indizi di colpevolezza che sono necessari per l’applicazione della misura custodiale.

L’istanza di revoca della misura era stata rigettata dal GIP procedente e il difensore aveva pertanto proposto riesame. Anche quest’ultimo era stato rigettato poiché, secondo il Tribunale delle Libertà, l’infermità psichica perché possa costituire elemento che escluda l’applicazione della misura cautelare deve risultare in modo certo dagli atti del procedimento per il quale si è disposta la custodia.

Abbiamo allora proposto ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale per il Riesame, lamentando l’interpretazione errata e sfavorevole al reo delle norme cautelari e l’ingiustificato sacrificio della sua libertà personale.

La Quinta Sezione penale della Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha enunciato il seguente principio di diritto: “l’art. 273, comma 2, cod. proc. pen., laddove inibisce l’applicazione di ogni tipo di misura cautelare se risulta che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di non punibilità, non richiede che la sussistenza della causa stessa debba essere provata con certezza, ma semplicemente che esista un elevato o rilevante grado di probabilità che il fatto sia stato compiuto in presenza di essa”.

Per queste ragioni la Corte di Cassazione, ritenendo illegittima la custodia in carcere dell’indagato, ha annullato l’ordinanza del Tribunale del Riesame.